Oggi i castellanesi ricordano il miracolo della liberazione e della successiva preservazione di Castellana dalla peste del 1690/91 per intercessione della Vergine Santissima della Vetrana (da “veterana” = antica, secondo l’interpretazione linguistica italiana, o da “veterana” = peste, secondo l’interpretazione dialettale del termine). La sua immagine è una splendida trecentesca icona bizantineggiante. La sua chiesa, situata su di una collinetta che domina tutta Castellana, è antichissima. In una pergamena del 916 si parla della nostra Chiesa, sebbene in modo indiretto, citando certe “clausurie Sancte Marie” e in un’altra carta del 1254 si segnala un pio legato lasciato alla Chiesa di Santa Maria. Il termine Vetrana lo troviamo comunemente dal 1600. Notar Mannara (1648) scrive: “In loco detto Santa Maria della Vitrana, giusta la via da Castellana a Martina”.
La storia
Nel Sud-Est Barese alla fine di dicembre del 1690 scoppia una terribile pestilenza. Secondo alcuni storici il morbo era pervenuto nel porto di Monopoli insieme ad un barcone, proveniente dall’altra sponda dell’Adriatico, che aveva trasportato stoffe e altre mercanzie infette. Date le scarse misure igieniche dell’epoca, il male subito attecchì e moltissime vite umane furono recise, anche in considerazione del fatto che la medicina non trovava altri rimedi che curare i bubboni della peste con “emplastro di gomma, aglia, cipolla e cantaride”. A Castellana ci si accorse della peste il 23 dicembre 1690, quando cominciarono a morire alcune persone nel lazzaretto. Ecco la scheda del 29 aprile 1691 del Notaio Giacobbe Fanelli di Castellana.
«Come nel prossimo passato mese di dicembre, così permettendo Iddio giustamente sdegnato contro di noi per li nostri peccati, s’attaccò in questa Terra di Castellana la peste et in spatio di giorni venti in circa, ne morirono di detto male e per sospetto di quello, al numero di ventidue persone tra piccoli e grandi, e trovandosi questo pubblico così afflitto e confuso per causa di detto male che alla giornata s’avanzava, s’ebbe ricorso con l’oratione privata d’alcuni sacerdoti di questa terra a detta Beatissima Vergine della Vetrana acciò si degnasse placare l’ira del Suo Unigenito Figlio, giustamente contro di noi sdegnato».
Il Primicerio don Giuseppe Gaetano Lanera e don Giosafat Pinto erano i due Sacerdoti di Castellana che, mentre pregavano incessantemente Dio e la Vergine Maria, nella notte tra l’11 e il 12 gennaio, ebbero simultaneamente un’interna ispirazione: la Madonna della Vetrana avrebbe liberato Castellana dalla peste.
Il miracolo
Il 12 gennaio, è ancora il Notaio Fanelli che parla: «Si vidde di già verificato lo che detta Beatissima Vergine havea promesso, essendosi veduto miracolosamente non solo la peste camminare più avanti, ma dodici persone che si trovavano nel lazzaretto attualmente col bubbone, applicatovi solamente l’oglio miracolosissimo delle lampade di detta Beatissima Vergine, furono da detto male guariti e liberati et hora giornalmente già vivono sani e buoni, oltre altri innumerabili che per tema di essere posti nel lazzaretto, essendoli in casa uscito il bubbone, senz’altri rimedi che solo del balsamo salutare delle lampade di detta Beatissima Vergine rimasero tutti guariti di detto morbo contaggioso». (Tali notizie sono attinte dal volumetto di Marco A. Lanera, Documenti castellanesi sulla peste del 1690, De Robertis, Putignano 1962).
Tutti, senza esitazione di sorta, attribuirono alla miracolosa intercessione della Vergine della Vetrana la liberazione di Castellana dalla peste. L’olio di una semplice lampada, del resto, non può essere rimedio efficace contro i bubboni della peste. Il Capitolo dei preti di San Leone, il Sindaco e i deputati dell’Università castellanese, per gratitudine, decisero di festeggiare solennemente ogni anno l’evento prodigioso. L’Università si impegnò a versare al Rettore della chiesa della Vetrana in “un bacile d’argento la summa di docati dieci da consegnarsi e pagarsi per li Magnifici cascieri” per la festa annuale “in perpetuum”.
La devozione popolare
Da questo documentato avvenimento sono nate: la grande devozione di Castellana alla Madonna della Vetrana: la lampada ad olio perennemente accesa davanti alla sua immagine; il rifacimento completo della sua Chiesa, con l’intervento di tutto il popolo e anche dell’eccellentissima Casa dei Conti Acquaviva D’Aragona di Conversano; la fondazione del Convento degli Alcantarini; i falò dell’11 gennaio e la Festa di Aprile. I falò, segni di riconoscenza, di festa e di esultanza popolare, vengono a ricordare ogni anno l’intercessione miracolosa della Madonna della Vetrana. Si accendono numerosi per le strade cittadine la sera dell’11 gennaio. Alcuni, veramente mastodontici, bruciano molte tonnellate di legna, sprigionando e lanciando in alto, nella notte scura, mille faville che ridicono al cielo la nostra gratitudine. La gente affolla le strade, rimane estasiata al cospetto delle altissime fiamme, e partecipa al canto mariano tradizionale “Tu sei del popolo, letizia e pace”. Come in ogni festa popolare, c’è poi la parte gastronomica. Tutti si lasciano volentieri tentare dagli assaggi di taralli, ceci e fave abbrustoliti, nocelline e da un bicchiere di vino. Il tutto è offerto con generosità da chi ha allestito la “fanova”. Ottima anche l’iniziativa, instaurata da qualche anno, dei frantoiani castellanesi. Fanno gustare ai visitatori dei falò il loro olio nuovo e genuino col quale condiscono le bruschette con i pomodori “appesi”, conservati dall’estate. Veramente la tradizione più antica prescriveva che si mangiassero, riscaldati nella cenere calda del falò, “sarôche i scartapìjete”, pesci secchi salati e affumicati, conditi con abbondante olio e accompagnati dal pane. Naturalmente l’arsura procurata dai pesci richiedeva una buona dose di vino rosso primitivo, che in gergo si chiama “vino tosto”.
La tradizione negata, la fede e la speranza
Da due anni ci è negata la rievocazione del miracolo della liberazione dalla peste del 1690-91, causa Covid. Ci manca quel calore della festa in una delle notti più fredde dell’inverno pugliese che, nondimeno, si trasforma – per fede e devozione – nella notte più calda per i castellanesi. Ci manca la possibilità di rivivere l’emozione di un appuntamento, sentito e molto partecipato, da trascorrere tutti insieme fra canti, luci e fuochi. Ci preoccupa la paura che quella tradizione e quella condivisione finiscano per essere dimenticate o svilite, travolte dall’ansia che i due anni di pandemia hanno pesantemente instillato nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Ci restano, per fortuna, le celebrazioni liturgiche e la libertà – quella almeno intoccata ed intoccabile – di poter festeggiare ugualmente un evento che dà sostanza al nostro senso di appartenenza comunitaria, anche solo nell’intimo di un cuore gonfio di riconoscenza e ricolmo di fede e d’amore per la nostra amata patrona. Forse solo l’accettazione serena delle ragioni che anche quest’anno non ci hanno permesso di trascorrere questi giorni nella genuina allegrezza di una festa paesana, ci consentiranno di guardare al futuro con un pizzico di ottimismo in più. Continuiamo ad alimentare la fiamma viva della speranza nella consapevolezza che tra esattamente 100 giorni potremo infiammare di nuovo i nostri cuori con l’amata “Festa d’Aprile”.