Quando il meteo diventa spettacolo: smascheriamo l’informazione fuorviante

Quando il meteo diventa spettacolo: smascheriamo l’informazione fuorviante

Comunicazione, pubblicità e informazione: tra immagini, parole e responsabilità

Viviamo in un mondo dove comunicare è tutto. Ma non tutte le forme di comunicazione sono uguali.

Nel mondo della comunicazione visiva, le immagini sono protagoniste assolute: raccontano, evocano, colpiscono. In quello della pubblicità, invece, contano i messaggi strategici: brevi, incisivi, costruiti per vendere o per influenzare. E poi c’è il mondo dell’informazione corretta, in cui le parole — spesso molte parole — diventano essenziali per spiegare, approfondire, chiarire.

Dove sta la verità tra queste forme? Cosa c’è di giusto, sbagliato, da precisare o da rettificare in questo scenario? La risposta più onesta è: tutto. E dipende.

Il potere delle immagini (anche nella meteorologia)

Le immagini hanno un potere straordinario, specialmente quando si tratta di spiegare concetti complessi o astratti. In meteorologia, ad esempio, una semplice mappa colorata può trasmettere un messaggio immediato su un fenomeno previsto: un’allerta, un cambiamento imminente, un’estrema variazione di temperatura. Ecco perché scegliere quale immagine usare è una responsabilità grande: si rischia, a volte, di suggerire più di quanto si sappia davvero.

Nel mondo della pubblicità, l’immagine è la comunicazione. Un volto, un luogo, un gesto o persino un tono di voce possono decretare il successo o il fallimento di un’intera campagna. È il marketing a guidare queste scelte, calibrando ogni elemento per massimizzare l’impatto su target ben definiti. Lo scopo è chiaro: colpire, penetrare, impressionare.

Ma l’informazione è un’altra cosa

Quando invece si parla di informazione — specialmente in ambito meteorologico — il compito è diverso. Informare non significa sorprendere o intrattenere. Significa spiegare bene, fornire un contesto, segnalare incertezze. Significa, in definitiva, essere onesti, anche a costo di risultare meno attraenti.

Un testo basato su dati, che esplicita margini di incertezza o la possibilità di variazioni improvvise, può sembrare meno affascinante di un’immagine con colori accesi, numeri grandi e titoli emozionali. Ma è proprio questo il punto: l’informazione non deve “vendere”, deve servire.

Due modi di fare meteorologia

Oggi, nel panorama sempre più affollato dei siti e delle app meteo, possiamo distinguere due grandi filoni comunicativi:

  1. La meteorologia commerciale: App curate, intuitive, veloci. Messaggi semplici, diretti, spesso sensazionalistici. Funzionano? Certo. Raggiungono un pubblico ampio, sono virali, e raccolgono consensi. Ma, inevitabilmente, sacrificano la profondità.
  2. La meteorologia analitica: È quella che guarda i modelli previsionali, segnala margini di errore, invita alla cautela quando i dati non sono stabili. È meno spettacolare, spesso meno seguita, ma offre un’informazione più solida, rispettosa della complessità del tempo atmosferico.

Non è un giudizio, sia chiaro. Entrambe le modalità sono legittime. C’è chi vuole sapere se può andare al mare domani o se deve vestirsi pesante o leggero. E basta. E chi preferisce comprendere perché quella previsione può cambiare da un giorno all’altro.

Il caso dei 37 gradi

E così, arriviamo all’esempio concreto. Si legge in giro che l’inizio di giugno porterà 37°C. Un titolo che attira, certo. Ma quante probabilità ci sono che questo accada davvero? E dove?

La realtà è che quei 37°C, se mai dovessero verificarsi, riguarderebbero una porzione inferiore all’1% del territorio nazionale. Eppure, quei numeri estremi vengono messi in prima pagina, trasformati in titoli sensazionalistici, o peggio allarmistici, con pochi o insufficienti dati di contesto. Sul nostro comprensorio, di media nella prima decade di giugno le massime potrebbero attestarsi sui 27/28 gradi. Dieci gradi di differenza che fanno la differenza tra informazione e spettacolarizzazione della meteorologia.

Conclusione: libertà di scegliere, capacità di distinguere

Ognuno ha il diritto di scegliere quale tipo di informazione preferire. Nessuno mette in discussione questo.

Consentite, però, a chi fa dell’informazione meteorologica deontologicamente corretta il proprio cruccio, la libertà di dire le cose come stanno, di mostrare le differenze, di invitare, quanto meno, a leggere con un occhio critico. Sì, perché questa non è solo una rivendicazione o una sottolineatura fine a se stessa, ma è anche un diritto: il diritto di tutti di essere informati sulle differenze tra un’informazione accurata e un messaggio costruito per generare clamore.

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