Tra antichi proverbi e nuove tecnologie, alla ricerca della verità meteo sulla seconda parte della stagione
La festa della Presentazione del Signore celebra il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio. Meglio conosciuta come “Candelora” (per via del rito della benedizione delle candele che introduce la celebrazione eucaristica del 2 febbraio), questa festa – a 40 giorni dal Natale e a 45 giorni dall’Equinozio di Primavera – forse proprio per la sua collocazione stagionale è da sempre associata non solo a particolari riti religiosi e a tradizioni che si perdono nella notte dei tempi, ma anche ad alcuni proverbi imprescindibilmente legati alla meteorologia.
E per certi versi appare, al contrario, “irrituale” che proprio ai tempi dei super computer, che elaborano migliaia e migliaia di operazioni al secondo e sfornano sofisticatissime carte meteorologiche, facciano ancora presa su una buona fetta della popolazione le credenze o i proverbi legati alla festività della Candelora.
È inutile rimarcare che non c’è nulla di scientifico negli adagi tramandati dai nostri nonni o nei motti più conosciuti che caratterizzano questa festa, non foss’altro che per la loro contraddittorietà. Se il più noto tra questi, infatti, recita: «Per la santa Candelora se nevica o se plora dell’inverno siamo fora», con ciò sottintendendo che nel giorno della Candelora ci si potrebbe ritenere fuori dell’inverno soltanto se vi siano cattive condizioni meteorologiche, ve ne sono altri che alludono esattamente al contrario, proprio come il proverbio lombardo che dice: «Alla Candelora dall’inverno siamo fuori, ma se nevica o tira vento, 40 giorni siamo ancora dentro».
Il metodo empirico, o se volete la saggezza popolare, trova in realtà rispondenza più nel tentativo di comprendere l’evoluzione meteo futura – collegandola, come spesso si faceva in passato, a date particolari connesse ad eventi religiosi – che a veri e propri (ed improbabili) riscontri sul campo di tali credenze.
Pertanto, malgrado il fascino di questi primi, antichi tentativi di “previsione meteo” a lunga scadenza, oggi è preferibile fidarsi della scienza e dei calcoli probabilistici correlati allo studio dei modelli fisico-matematici, che hanno fatto passi da gigante in tal senso, sebbene in molti siano erroneamente convinti che il meteo odierno sia ormai diventato una sorta di anticipazione certa del futuro e non invece un valido aiuto per la programmazione di alcune attività nel breve o, al massimo, nel medio termine.
Oggi tendiamo a fidarci delle nostre app sugli smartphone o dei siti che proliferano a dismisura sul web, quasi compulsivamente alimentati dalla nostra pretesa di sapere tutto e subito con un clic e dalla nostra insana voglia di essere attratti ad ogni costo dal sensazionalismo.
Tuttavia, in pochi sanno che la meteorologia moderna (e più efficace sotto il profilo dell’affidabilità) non è quella che viene propinata con tanta enfasi dai titoloni di quegli stessi siti e nemmeno quella che usa biecamente termini come «Bomba di neve» o «Record» pur di far scalpore e creare interesse, ma quella che pondera accuratamente i diversi modelli matematici (tutte le app ne usano invece soltanto uno) e offre un quadro analitico e mediato dei diversi possibili scenari futuri, senza peraltro trascurare un elemento fondamentale della scienza meteorologica: l’umiltà. Umiltà di fronte alla complessità di una Natura, di cui conosciamo solo una piccolissima parte del suo funzionamento e della sua stessa sussistenza.
E, a proposito di scenari futuri possibili, l’eventualità che dopo il 10-15 febbraio l’Inverno 2019 ci presenti un amaro conto da pagare in termini di freddo e neve appare, ad oggi, come uno tra gli scenari più probabili. Difatti, gli scompensi occorsi ad inizio anno al Vortice Polare (Split e Displacement, per i più ferrati in materia), unitamente alla possibile formazione di anomalie pressorie positive in sede scandinava, lasciano presagire l’apertura di un varco, diretto dal Bassopiano sarmatico russo all’Europa centro-meridionale e mediterranea, in grado di far tracimare l’immenso serbatoio di aria gelida ivi presente in direzione delle nostre latitudini.
Sarebbe un degno «finale di stagione»! Una stagione sin qui capace di compiere fino in fondo il proprio dovere. Se così non dovesse risultare per l’ultimo tratto del suo corso, l’Inverno lascerebbe probabilmente alla Primavera l’ingrato compito di ultimare il suo “lavoro”, purtroppo con conseguenze non di certo positive per il normale andamento climatico, soprattutto in vista della ripresa vegetativa e delle possibili conseguenze legate al gelo tardivo.