Sembra quasi surreale che solo 48 ore fa dalle nostre parti c’era la neve e il termometro alle 12 era appena sopra lo zero, mentre da ieri la stessa colonnina di mercurio, nella stessa zona, alla stessa ora, abbia segnato mediamente 13 gradi in più. Tuttavia, per quanto anomali e non frequentissimi, gli scarti termici così stridenti non sono di certo eccezionali dalle nostre parti, specie nei periodi di transizione stagionale.
L’inesorabile avanzamento della stagione
Si, perché, malgrado non ci si possa affatto ritenere fuori dalla stagione invernale, ormai le forti fluttuazioni termiche, anche a così poca distanza di tempo, altro non sono che il segno di un inesorabile avanzamento della stagione e l’inizio, conseguentemente, di quel lungo periodo di transizione stagionale che ci porterà – seppur a strappi e non senza ricorrenti passi indietro – alla primavera.
Non c’è dunque da meravigliarsi di questi primi segnali di stramberie termiche non solo guardando il calendario, che ormai vede marzo ad un passo dal suo inizio, ma soprattutto per l’ormai enorme guadagno di luce (inteso come ore di maggior insolazione), registratosi dal giorno del Solstizio d’Inverno, che è quello con il minor numero di ore di luce durante l’anno.
Quasi due ore di luce (e di calore) in più
E difatti, dal 21 dicembre scorso ad oggi abbiamo già recuperato quasi due ore di luce, ossia di tempo complessivo in più durante il quale il Sole, restando sopra l’orizzonte, ha potuto immettere in atmosfera una maggiore quantità di calore. Più calore, ossia accresciuta incidenza dei raggi solari (in questo periodo dell’anno inizia ad apprezzarsi l’incidenza dei raggi solari nell’emisfero boreale, mentre in quello australe si inizia a scorgere il suo decremento), significa anche modifica degli assetti configurativi nella circolazione generale dell’atmosfera, con progressivo riassorbimento del Vortice Polare e graduale innalzamento della zona di convergenza intertropicale (Anticiclone Africano).
Lo sfasamento stagionale rispetto alle ore di insolazione. Perché?
Come è noto, tuttavia, non ci si accorge immediatamente di questa variazione in termini di progressione stagionale e, nei fatti, di rialzo termico effettivo, ossia da tutti percepibile. A ben vedere, infatti, se non ci fosse un altro fattore determinante alla base della termoregolazione del clima terrestre, i giorni attorno ai solstizi coinciderebbero con i periodi di caldo assoluto e freddo assoluto annuali (più irraggiamento = più caldo, meno irraggiamento = più freddo).
L’azione termoregolatrice delle acque
Tali estremi termici, invece, non combaciano affatto con il giorno più lungo (il Solstizio d’Estate), da una parte, e quello più corto (il Solstizio d’Inverno), dall’altro, perché interviene l’azione termoregolatrice del mare, che fa riscaldare o raffreddare più lentamente il pianeta, ritardando mediamente di un mese quella teorica sincronizzazione tra ore di irraggiamento solare e temperature effettivamente registrate sulla Terra. L’acqua (i mari), che – non dimentichiamolo – costituisce il 70,8% della superficie terrestre, possiede un’elevata inerzia termica rispetto all’aria. Ciò significa che è molto lenta ad assorbire calore ed è molto lenta a cederlo, al contrario di quel che avviene con l’aria. Conseguentemente, è per gran parte dovuto ad essa lo sfasamento tra stagioni astronomiche (inclinazione dei raggi solari rispetto alla superficie terrestre) e stagioni meteorologiche (le effettive condizioni meteo che viviamo). Così, sperimentiamo i periodi più caldi non in giugno, ma tra luglio e agosto e quelli più freddi non in dicembre, ma tra gennaio e febbraio.
L’alternarsi delle ondulazioni cicloniche ed anticicloniche
Se pertanto abbiamo acclarato che non possiamo attenderci, proporzionalmente all’incremento della quantità di luce (e conseguentemente di calore), un automatico e proporzionale aumento delle temperature che effettivamente percepiamo, per sperare di scrollarci di dosso un po’ di freddo e di clima invernale, ora non possiamo che far riferimento alle fluttuazioni delle onde planetarie, che decidono poi in sostanza, a prescindere dalla vera incidenza del sole sulla Terra e della termoregolazione imposta dalla maggior superficie occupata dalle acque sul nostro pianeta rispetto alle terre emerse, il tempo che fa.
Per questo, nelle previsioni meteorologiche concrete non va tanto preso in considerazione il dato astronomico (o il calendario) e l’allungamento delle giornate dovuto all’elevazione del Sole sull’orizzonte e quindi alla sua maggior permanenza su una data zona, quanto l’alternarsi di quelle medesime ondulazioni, ora anticicloniche (alte pressioni), ora cicloniche (basse pressioni), che determinano in concreto rispettivamente le fasi di tempo più stabili, soleggiate e calde o quelle più instabili, perturbate e fredde.
Le indicazioni per la prima decade di marzo
E sotto questo profilo, ci vengono in aiuto i celeberrimi modelli matematici di calcolo e previsione delle condizioni meteorologiche, croce e delizia di tutti i meteorologi. Questi ultimi ci annunciano che marzo, fatta eccezione per la piccola ondulazione ciclonica attesa per sabato 2 (che probabilmente ci porterà delle deboli precipitazioni e un certo ridimensionamento termico), potrebbe trascorrere per buona parte della sua prima metà con temperature mediamente superiori ai valori tipici di fine inverno e con un tipo di tempo – male che vada – variabile, con una buona impronta simil-primaverile e perciò con ottime possibilità di scrollarci di dosso, almeno per un po’, i ricorrenti brividi di freddo provati per gran parte della stagione in corso.
Peccato, pero, che – se si attribuisce un certo credito alle indicazioni modellistiche a lunga scadenza – a questo illusorio avvio di primavera potrebbe seguire una nuova recrudescenza invernale con tempo per lo più freddo-umido e frequentemente piovoso entro la metà del mese. Si tratta al momento di una linea di tendenza e non ancora di una previsione propriamente detta, ma va già precisato che sarebbe poco credibile che la “primavera vera” inizi già dai primi di marzo, proprio cioè in uno dei periodi mediamente più instabili e meteorologicamente contraddittori di tutto l’anno.